Che l’idrogeno non è una fonte di energia lo sappiamo benissimo. Non è con le tecnologie basate sull’idrogeno che si potranno risolvere i problemi legati ad una possibile futura penuria di energia e quelli dell’inquinamento ambientale.
Certo l’uso dell’idrogeno, per alimentare i mezzi di comunicazione, potrebbe diminuire l’inquinamento nelle grandi città ma solo per spostarlo in quelle periferie dove verranno installate le centrali di generazione.
L’economia basata sull’idrogeno, comunque crescerà e, non è detto, che non verranno trovate delle soluzioni per trasformare l’energia del sole o quella nucleare in idrogeno in modo efficace con rese energetiche cosi elevate da rendere molto conveniente l’uso di questo gas non inquinante.
Quello che riportiamo di seguito è un vecchio articolo pubblicato su Il Manifesto del 9 marzo 2003. Si tratta di una lettera aperta di alcuni uomini di scienza che hanno molti dubbi sul futuro dell’economia basata sull’idrogeno. La lettera è di qualche anno fa, alcune cose sono cambiate ma le problematiche di base restano attuali.
I firmatari della presente – ricercatori e persone a vario titolo impegnate in ambiente accademico e scientifico – desiderano esprimere la loro forte preoccupazione e un netto dissenso rispetto alla campagna mediatica che viene sostenuta per propagandare «l’idrogeno come combustibile pulito», addirittura alla base di una pretesa «rivoluzione ecologica». Questa campagna è stata avviata dal noto economista Jeremy Rifkin (Economia all’idrogeno, Mondadori 2002), presidente della Foundation on Economic Trends di Washington, e continua ad essere alimentata, nonostante incongruenze piuttosto evidenti negli assunti di fondo. L’idrogeno è un gas infiammabile che non esiste sulla superficie terrestre, e produrlo artificialmente richiede di per sé un notevole dispendio di energia. Di conseguenza esso non può essere di per sé etichettato come di energia, ma soltanto come vettore, cioè come mezzo per immagazzinare l’energia prodotta da altre fonti. Notiamo qui subito che tale immagazzinamento, come ogni conversione da un tipo di energia ad un altro, ha un costo energetico, cioè comporta la degradazione in calore e la conseguente perdita di una parte dell’energia coinvolta. Oggi quasi tutto l’idrogeno prodotto industrialmente viene ottenuto a partire da fonti di energia fossili, più precisamente dal metano o da derivati del petrolio, attraverso processi detti di «reforming». L’idrogeno prodotto in questi processi contiene circa il 75% dell’energia fornita in ingresso, mentre il restante 25% viene perso sotto forma di calore. Il nostro vettore di energia è quindi in realtà assimilabile a un secchio bucherellato.
Inoltre, per ogni atomo di carbonio presente negli idrocarburi utilizzati nei processi di reforming, si produce una molecola di anidride carbonica. Come sappiamo, l’anidride carbonica è il principale tra quei gas che, immessi nell’atmosfera, contribuiscono al riscaldamento del nostro pianeta, con gravi e ancora non del tutto prevedibili conseguenze sul clima. In effetti, la quantità di anidride carbonica ottenuta producendo idrogeno per reforming è la stessa che si produrrebbe se il metano o il petrolio utilizzati fossero bruciati direttamente in una centrale elettrica. Dal punto di vista dell’effetto serra, che dovrebbe essere uno dei criteri di valutazione principali della compatibilità ecologica di una tecnologia, l’uso dell’idrogeno così prodotto non apporta quindi alcun vantaggio, anzi, come vedremo, può risultare svantaggioso quando si consideri l’anidride carbonica prodotta per unità di energia generata.
Come si utilizza l’idrogeno? Se consideriamo l’uso per autotrazione, che è quello per il quale viene maggiormente propagandato, esistono due opzioni. La prima, più immediata, è di utilizzarlo come combustibile per un motore a combustione interna opportunamente modificato, simile a quelli attualmente utilizzati nelle automobili. Questa soluzione avrebbe effettivamente l’effetto di liberare le città da buona parte dei gas di scarico prodotti dagli autoveicoli, e quindi di migliorare la qualità dell’ambiente urbano. Purtroppo, si tratta di un approccio al problema assolutamente insostenibile dal punto di vista globale. Ammettendo per i motori a idrogeno un rendimento pari a quello dei motori a benzina, come abbiamo detto vi è nel processo di produzione dell’idrogeno una perdita di energia che fa sì che, a parità di energia utile, occorra un consumo maggiore di idrocarburi, e conseguentemente il rilascio di una maggiore quantità di anidride carbonica nell’atmosfera.
La seconda opzione è quella di usare l’idrogeno in celle a combustibile. Si tratta di dispositivi che convertono l’energia immagazzinata nell’idrogeno in energia elettrica, che può essere usata per alimentare un motore elettrico. Anche in questo caso, il merito dell’idrogeno sarebbe quello di spostare l’inquinamento dalle città alle centrali di produzione dell’idrogeno. Visti i buoni rendimenti delle celle a combustibile, con questa tecnologia ci si può aspettare un livello di consumi di idrocarburi – e quindi di produzione di anidride carbonica – pressoché pari a quello attuale, a parità di energia utile prodotta. Neanche questa dunque è una opzione valida dal punto di vista ambientale, stante la necessità di ridurre prima possibile i consumi di combustibili fossili e le emissioni di anidride carbonica.
C’è poi una visione che prevede la produzione di idrogeno senza il ricorso a sorgenti fossili, per mezzo di energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili (solare, eolico, ecc.). L’idea di un sostanziale incremento della produzione di energia da fonti rinnovabili non può che trovarci pienamente favorevoli. Tenuto conto però che, ragionevolmente, queste fonti potranno al più fornire solo una parte dell’attuale fabbisogno energetico mondiale, è possibile verificare che l’elettricità così prodotta sarebbe utilizzata in maniera più efficiente, cioè con minore spreco, immettendola direttamente nella rete elettrica piuttosto che non immagazzinandola nel nostro «secchio bucherellato».
Infine, va citato il fatto che l’idrogeno può essere ottenuto per reforming anche dal carbone. Questo procedimento, che come detto sopra equivale, in termini di produzione di anidride carbonica, a bruciare il carbone stesso (ma con minore resa energetica), aprirebbe in pratica la strada all’uso per autotrazione, e non solo, delle abbondanti riserve di carbone ancora esistenti sul pianeta, con un effetto sul riscaldamento globale ancora peggiore di quello degli scenari descritti precedentemente. Infatti, a parità di energia prodotta il carbone produce ancora più anidride carbonica del petrolio e del metano. Né può risultare di conforto la prospettiva oggi propagandata che la produzione dell’idrogeno avvenga in impianti in cui l’anidride carbonica venga «sequestrata» e immagazzinata in siti sotterranei. Infatti, al di là dei grossi problemi tecnici ancora da superare e del costo energetico del procedimento, nessuno è in grado di predire se nel lungo periodo questa anidride carbonica non sia comunque in grado di raggiungere l’atmosfera, per diffusione o in occasione di terremoti o altri eventi geologici violenti.
Riassumendo: gli idrocarburi fossili (petrolio e metano) sono preziosi in quanto esistono sul nostro pianeta in quantità limitate e costituiscono, oltre che fonti di energia, anche materie prime preziose per una grande quantità di processi industriali. Di conseguenza essi vanno risparmiati ed indirizzati agli usi strettamente necessari, non solo perché il loro utilizzo aumenta l’effetto serra, ma anche perché il prossimo raggiungimento del picco mondiale di produzione (previsto entro pochi anni) è causa di gravi tensioni internazionali, e sempre più lo sarà in futuro. Le azioni militari contro la repubblica federale di Jugoslavia e l’Afghanistan erano motivate principalmente dalla preoccupazione degli Usa e dei loro alleati di assumere il controllo delle vie di trasporto del petrolio del Mar Caspio. Il riferimento al petrolio è ovviamente ancora più esplicito quando si parla dell’Iraq.
I combustibili fossili, per poterli risparmiare, vanno utilizzati nel modo più efficiente possibile, il che oggi vuol dire che bisogna bruciarli in centrali elettriche. Altri usi vanno disincentivati. In quest’ottica, il motore a combustione interna rappresenta una tecnologia terribilmente inefficiente che va superata quanto prima, in quanto utilizza solo metà o anche meno dell’energia che si riesce a estrarre in una centrale elettrica. L’introduzione dell’idrogeno non può modificare questa visione, anzi renderebbe la situazione ancora più critica qualora venisse usato come combustibile per motori a combustione interna. Per di più, qualora la scarsità di petrolio e metano portasse in futuro all’utilizzo di idrogeno prodotto a partire dal carbone, gli effetti in termini di cambiamenti climatici sarebbero ancora più devastanti.
Invitiamo quindi tutti coloro che hanno a cuore il futuro del nostro pianeta a non cadere nel tranello dell’idrogeno, che è in realtà uno stratagemma di marketing utilizzato dalle compagnie petrolifere con l’intento di mantenere l’attuale situazione di spreco dei combustibili fossili, e da alcuni governi in vista di un insostenibile passaggio ad un regime di produzione di energia basato principalmente sul carbone. L’idrogeno non rappresenta quindi la rivoluzione energetica promessa, ma una semplice riedizione degli odierni scempi ambientali (si pensi alle truffe della benzina verde e dell’ecodiesel). Il grosso problema dell’energia non è come immagazzinarla (anche questo ha un peso, ma diverso e di portata molto più limitata), ma come produrla e come utilizzarla con minori sprechi. Se ci sta a cuore il futuro del pianeta diventa improcrastinabile, accanto a un deciso sviluppo nel campo delle fonti rinnovabili e delle politiche di risparmio e di uso differenziato delle diverse fonti, uno sforzo collettivo verso l’elaborazione di un nuovo concetto dello sviluppo, che non sia basato sulla continua crescita economica, cioè sul continuo aumento quantitativo delle merci, dei prodotti e dei consumi. Tale crescita, la cui insostenibilità diventa di giorno in giorno più evidente, ci sta portando ad un stato di guerra infinita e permanente per appropriarsi delle sempre più scarse risorse energetiche.
Firmato,
Angelo Baracca, Franco Marenco, Emilio Martines, Andrea Martocchia, Luca Nencini, Maria Luigia Paciello, Libero Vitiello, aderenti al Comitato «Scienziate e scienziati contro la guerra»